Considerazioni in libertà
Riproponiamo questa vecchia pagina (già pubblicata il 17 marzo 2020) perché la riteniamo ancora di stringente attualità.
Quantunque possa non essere ancora il caso di svolgere certe considerazioni mentre siamo ancora nel ...
... bel mezzo di una crisi epocale e, soprattutto, possa non interessare a nessuno il pensiero di uno sprovveduto qualsiasi, non posso fare a meno di esprimere le mie riflessioni su quanto sta accadendo in Italia, e non solo, a causa di quel microscopico elemento chiamato "coronavirus".
Prima di tutto ritengo sia entrato in crisi o quantomeno vada ripensato il modello economico detto “globalizzazione” specialmente perché sostenuto dalla logica perversa del massimo profitto, del quale beneficiano per lo più mega investitori. Non credo sia inevitabile né predestinato. Se ci si pensa bene, anzi, quel modello potrebbe apparire assurdo.
È inconcepibile, ad esempio, utilizzare minuscoli componenti prodotti in luoghi lontani (Cina ?) che poi debbano essere utilizzati qui per assemblare pezzi di macchine più complesse solo perché risulterebbe antieconomico produrli direttamente qui. O, meglio, solo perché la manodopera utilizzata per produrli lontano costa meno di quella locale, magari perché in quei luoghi è possibile sfruttare all’estremo la forza lavoro addetta alla produzione. È per questo che ora scarseggiano le mascherine anticontagio. E che diamine! Non si poteva continuare a produrle in Italia?
Un altro esempio che mi fa dannare è quello di alcuni prodotti agricoli di larghissimo consumo: è mai possibile che oggi persino i legumi consumati nei più sperduti villaggi dell’Appennino campano debbano provenire da migliaia di chilometri (Canada)? E che dire poi dell’aglio o addirittura delle cipolle che, un tempo, risultano essere state prodotte qui, proprio nel nostro piccolissimo paese, rivelandosi “di grande esquisitezza(*)”?
C’è indubbiamente qualcosa che non va e che va ripensato. Tutto dipende dall’organizzazione e dalla semplificazione che si vuole dare alle decisioni che qualche manager ultramoderno e ultrapotente prende per massimizzare i profitti. Ma di chi? Con quali risultati? E a che prezzo?
Anche i cambiamenti climatici sono in gran parte derivanti da questa frenesia di movimenti e dagli spostamenti di persone e cose che potrebbero in buona parte essere evitati.
Che dire poi della concentrazione di uomini e attività in talune aree solo perché appaiono più razionali (sempre per massimizzare i profitti di alcuni) ma che poi si rivelano fonti di altri problemi di soluzione sempre più difficile. Che senso ha concentrarsi in zone “sviluppate” dove poi l’inquinamento atmosferico costringe a bloccare la circolazione e limitare gli spostamenti?
Possibile che non si debba riflettere su un modello di sviluppo insostenibile? Possibile che a nessuno sia venuto in mente di delocalizzare una parte della propria attività, spesso soffocata da limiti invalicabili, in altre zone dell’Italia anziché in Cina o in Romania? Possibile che vicino Nembro (BG) si sia realizzata una delle più alte concentrazione di aziende produttrici di plastica? Non parliamo poi del tessile nella val Seriana o dei calzifici del mantovano. Si può capire la validità del modello dei distretti produttivi fino a un certo punto. Se poi accade quel che sta accadendo con chi ce la possiamo prendere?
Perché rinunciare a priori al contributo che potrebbe dare l’altra Italia (quella “bassa” per intenderci) non solo come mercato di consumo ma come soggetto attivo? Perché abbandonare a sé stessi la maggior parte dei piccoli comuni montani che invece potrebbero rappresentare un presidio di sicurezza e di garanzia nei confronti di quegli eventi calamitosi che spesso devastano proprio le zone “sviluppate”?
Arrivando allo stato attuale, determinato dalla corrente epidemia, benché, come premesso, sia ancora prematuro ogni ragionamento, voglio esternare certi pensieri che inevitabilmente si affacciano alla mente.
Anche se fino ad ora la diffusione del virus appare meno virulenta nelle nostre zone e maggiormente estesa nella ricca e potente Lombardia, noi non ci sentiamo immuni né indifferenti a quanto stanno soffrendo i nostri connazionali anche se continuano a considerarci “terroni”. Sinceramente siamo dispiaciuti per le loro sofferenze e, soprattutto, per quanti non ce l’hanno fatta. E se qualcuno può non crederci basti ricordare che quasi tutti i terroni hanno qualche parente, stretto o strettissimo, che vive in quelle zone e per il quale stiamo sulle spine. Personalmente so di qualcuno che qui ha pianto e che piange per quanto sta accadendo. Però non posso non chiedermi e chiedere soprattutto ai lombardi e a tutti quelli che stanno nelle zone più sviluppate: cosa ci si poteva aspettare? Se gli scambi e gli spostamenti, anche con l’estero, avvengono soprattutto al Nord è ovvio che un’epidemia di tal fatta colpisca prima di tutto quei luoghi. Hai voglia ad attrezzare, concentrando anche quella, e vantare la migliore organizzazione sanitaria dell’Italia, se non del mondo. Tutto crolla se accade qualcosa di imprevisto o di imprevedibile.
Quello che poi devo aggiungere è che, mai sia, se l’epidemia si sviluppasse con la stessa intensità anche qui al Sud, poveri noi! Credo che allora il Nord evoluto dovrà tenersi sulla coscienza anche quello che succederà qui da noi.
La cosa più grave credo sia, nella migliore delle ipotesi, l’ignoranza diffusa e la tendenza a semplificare idee e concetti senza un’adeguata preparazione e conoscenza.
Siamo certi che ne verremo fuori, e speriamo al più presto. Ma ci auguriamo che si ripensi un po’ ai tanti errori commessi e a guardare al nostro futuro da un altro punto di osservazione.
Nota
(*) - Donato Antonio Castellano, La Cronista Conzana, manoscritto inedito, 1691.