... grande meridionalista unitario
In ricordo di Erio Matteo
Per rendere il nostro doveroso tributo ad un amico che ci ha improvvisamente lasciati pochi giorni fa e che abbiamo sempre ammirato per la sua correttezza e la sua lucidità, proponiamo qui il suo articolo pubblicato sull'ultimo numero de 'il Seminario' (n. 2/2021). Non tanto e non solo per l'illuminante caratterizzazione di un illustre protagonista della Storia Italiana ma anche, semplicemente, per aver proposto alla nostra attenzione un personaggio importante e la sua visione politica che sono ancora attuali in questo particolare momento.
Mai forse, come nel caso di Giustino Fortunato, un viaggio personale, politico e intellettuale è stato così ...
... costellato di grandi speranze e di cocenti delusioni. Egli è stato frettolosamente etichettato come conservatore più o meno illuminato. E da Gramsci chiamato perfino, con una punta di disprezzo, “apostolo del nulla”. Accusa tanto più ingiusta perché le linee ferroviarie ofantine - realizzatesi nel quindicennio 1883-1897 - non lo furono in virtù di piani governativi lungimiranti, bensì per la certosina battaglia parlamentare scatenata da Fortunato. Infatti, Fortunato capì per primo che quelle ferrovie erano necessarie per rompere l’isolamento e favorire lo sviluppo delle zone più interne della Campania e della Basilicata. Di questo itinerario fece l’ossessione della sua vita politica.
Come ebbe a scrivere Benedetto Croce, Giustino Fortunato fu il primo a sentire “il problema meridionale in tutta la sua grandezza e asprezza”. Sottolineò infatti con estrema decisione che - sono parole di Fortunato - « quello del Mezzogiorno è “il problema fondamentale di tutto il nostro avvenire”. L’atonìa morale delle alte classi si riflette nel gran disordine della vita pubblica, sia amministrativa che politica ». Soprattutto, il suo alto contributo alla storia morale e civile, non solo meridionale, appare oggi in tutta la sua portata. In più occasioni, pubbliche e private, aveva ammonito sull’illusorietà di certe scorciatoie: “Pensare che con una o più leggi di larghe sovvenzioni, in cinque o dieci anni, sia dato ‘elevare’ il Sud alla condizione del Nord é una illusione funesta, quando non é una leggerezza imperdonabile”.
Fu “rivelatore coraggioso”, secondo la definizione di Zanotti Bianco. E la prima rivelazione - quella di un Mezzogiorno sfavorito dalle condizioni geografiche rispetto alle altre aree del Paese - era in controtendenza rispetto alle dottrine prevalenti, che volevano un Mezzogiorno ricco, prima depauperato dai Borboni e poi addiritttura saccheggiato dal nuovo “regime piemontese”. Quest’ultimo certamente trattò i meridionali non come cittadini ma come sudditi!
Fortunato non trascurò mai tuttavia di avvertire quanto anche cause storiche e politiche avessero concorso a determinare il sottosviluppo del Sud, condizionandone il destino. Sottolineò più volte che l’Italia meridionale era rimasta organizzata feudalmente. Avrebbe poi scritto su ‘La Voce’ - in un articolo intitolato ‘Le due Italie’ - che “lungo il corso di mille anni costante è stato il diverso cammino delle due realtà territoriali in tutte le manifestazioni della vita nazionale”.
Le differenze geografiche e storiche non lo portarono a giustificare un modello di sviluppo imposto dai ceti dominanti del nord. La subordinazione della classe dirigente meridionale alle scelte imposte dagli interessi del nord del Paese non era riducibile al solo pregresso storico, ma si configurava come un preciso portato della nuova realtà dello sviluppo capitalistico e dei nuovi intrecci tra economia e politica. Fu perciò implacabile nel denunciare sempre le insufficienze della sua classe, che egli vedeva venir meno al suo compito storico.
In una lettera del settembre 1899 a Pasquale Villari, storico, suo collega negli studi e poi in Parlamento, affermava che “Il governo é stato vigliacco, con il Mezzogiorno. Sa di poter osare tutto, quaggiù; e, nel fatto, può tutto osare, e tutto osa quaggiù. Ormai il governo dispone del Mezzogiorno elettorale”.
È stata probabilmente proprio la capacità di Fortunato di indignazione e di denuncia al di fuori e al di sopra di ogni schema partitico o politico a fargli meritare il ruolo alto che ebbe nel panorama nazionale soprattutto nelle epoche successive. I suoi severi moniti alle classi dirigenti perché non smarrissero il filo conduttore del loro cammino e non sono mai stati, però, pretesti per la rivendicazione di separatezze. Di qui il rifiuto di un meridionalismo rivoluzionario. L’avversione per ogni risposta repressiva al confronto politico e sociale. La sdegnata negazione di qualsiasi compromesso con il regime fascista.
L’unità politica nella libertà gli sembrò sempre la condizione indispensabile non solo per la solidità della nuova costruzione statale ma anche per il progressivo superamento della divaricazione Nord-Sud.
Convinto com’era che l’Italia avrebbe aiutato il Mezzogiorno più debole e arretrato a vincere gli ostacoli storici e naturali allo sviluppo, non perse definitivamente le speranze quando, ai primi del secolo, apparve anche ai suoi occhi che l’unità reale del Paese si trasformava in subordinazione. La delusione tuttavia fu cocente. Fortunato fu monarchico convinto, “anzi tutto unitario” come si definiva, perché a lui - lo ha sottolineato acutamente Galasso - “la monarchia costituzionale appariva garanzia dell’ordinamento liberale dello Stato. E fu sostenitore del Parlamento, perché lo riteneva “il mezzo più valido che abbia trovato l’esperienza umana per preservare le società dal dispotismo e dall’anarchia”.
Non gli sfuggirono mai le insufficienze del sistema politico. “I vecchi partiti divennero fazioni, e le fazioni si suddivisero in gruppi sempre più impotenti al bene, perché sempre più estranee al concetto moderno di uno Stato democratico... La separazione che vieppiù si accentua fra il Paese e la sua rappresentanza... tutto è originato quasi completamente da quel mondo fittizio, nel quale da più anni pare che si aggirino le classi dirigenti”. Non gli sfuggirono neppure i limiti dell’organizzazione del nuovo Stato, il quale - sosteneva - aveva bisogno di più diffusi consensi.
BIOGRAFIA DI GIUSTINO FORTUNATO
1848 (4 sett.) - Nasce a Rionero in Vulture
1869. Laureato in giurisprudenza presso l'università “Federico II” . Redattore di due giornali del partito moderato: Unità Nazionale e Patria. Allievo di intellettuali come Francesco De Sanctis e Luigi Settembrini.
1875 - Tra i fondatori della società Napoletana di Storia patria.
1880 - Debutto in politica candidandosi alle elezioni per il collegio di Melfi.
1886 - 1897. Svolge le funzioni di segretario alla presidenza della Camera.
1910 - Insieme a Leopoldo Franchetti fonda l’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno, di cui è presidente onorario dal 1918 fino alla morte, Memorabili le sue battaglie in Parlamento per le ferrovie ofantine, poi realizzate nel quindicennio 1883-1897.
1886-1897. Svolge le funzioni di segretario alla presidenza della Camera.
1909 - Eletto Senatore.
1911 - Pubblica i due volumi de “Il Mezzogiorno e lo Stato italiano. Discorsi politici, 1880-1910
1919 - Lascia la politica attiva. Entra anche in contatto con Piero Gobetti, Guido Dorso, Umberto Zanotti Bianco, Nello Rosselli, Manlio Rossi Doria e Giorgio Amendola.
1920 - Scrive “Pagine e ricordi parlamentari”
1922 - Con l’instaurazione del regime fascista, Fortunato cerca di mantenere in vita il suo impegno meridionalista e la sua autentica passione per la libertà, in clandestinità.
1926 - Scrive il saggio “Nel regime fascista”.
1927 - “Le strade ferrate dell’Ofanto”, 1880-97
1932 (23 luglio). Muore a Napoli
Nella sua prima elezione ebbe 570 voti su 970 elettori. Numeri che, a quasi vent’anni dall’unità, dicono tanto sulla estrema ristrettezza del diritto al voto, ancora limitato ai soli possidenti. Perciò la “più ampia estensione del suffragio” era da Fortunato ritenuta “l’unico mezzo per infondere nel governo la maggiore coscienza possibile del bene generale e della tutela effettiva di tutti i ceti sociali”! E alla Camera il 25 marzo 1881, in un appassionato, vibrante discorso denunciò che “Sebbene il sistema rappresentativo duri in Italia da vent’anni, le astensioni sono più che numerose, i rapporti politici fra elettori ed eletti si riducono a zero”. Combatté come fattori di corruzione lo scrutinio di lista e la nomina dei sindaci, di cui invece auspicava la elezione. Fu convinto sostenitore del suffragio universale. Avvertì la crisi implosiva del liberalismo, come dimostra il suo breve scritto “Dopo la guerra sovvertitrice”. E infine visse la tragedia dell’avvento del fascismo prevedendone, come poi fu, la non breve durata.
Questa sua maturata consapevolezza gli fece comprendere in anticipo tutti i guasti derivanti dalla brusca interruzione, operata dalla dittatura fascista, del cammino iniziato con l’unità. Nella sua visione, il fascismo era un prodotto del nord. Il sud aveva seguito e vi si uniformava, esprimendo il peggio della sua costituzione politico-sociale. Da un lato trionfava la borghesia reazionaria, dall’altro prendeva il sopravvento la piccola borghesia particolarista e corporativa.
Tuttavia, nonostante l’asprezza dei colpi del regime fascista - che non risparmiarono diversi suoi amici - Fortunato non si abbandonò definitivamente al pessimismo, che pure sarebbe stato allora giustificato. Altro che abbandono o cedimento! Coltivò, anzi, un rafforzato proposito per l’ormai inevitabile lungo periodo. Quello di tenere comunque accesa la fiammella della libertà mentre tutte le libertà si andavano progressivamente spegnendo! Un ruolo prima non emerso con sufficiente chiarezza. Negli ultimi anni di vita si lamentò soprattutto delle accuse di essere un pessimista. Il suo era tuttavia, secondo il giudizio di Augusto Monti, ”il pessimismo di un ottimista”. Ne sono dimostrazioni evidenti i suoi scritti.
In conclusione, la figura di Giustino Fortunato appare, a chi ancora oggi, voglia davvero approfondirne il valore, estremamente palpitante di vita, soprattutto per quella passione per la libertà a cui ha consacrato la sua opera e la sua vita!
Francesco Saverio Matteo