... tipica anche a Sant'Andrea di Conza
Per saperne qualcosa in più riproponiamo questo articolo, di Maria Antonietta Santorsola e rinviamo anche ai Li fuoche de Sand'Anduone a Sant'Andrea di Conza (2020).
A riscaldare l'aria gelida di metà gennaio giunge a proposito la festa di S. Antonio Abate con i falò. Appena una settimana dopo l’Epifania del Signore, per le strade del paese gruppi di ragazzi con ...
... le carriole, bussano alle porte delle case e chiedono una legna in onore di Sant’Antonio. Fra i diversi gruppi si crea una vera e propria competizione, ciascuno di essi tenta di raccogliere legna in quantità superiore agli altri.
Per tutta la notte attorno ai fuochi si fa festa cantando, chiacchierando e soprattutto mangiando.
Il fuoco arde finché non si consuma tutta la legna questuata. Appena le fiamme diminuiscono, la brace viene raccolta e portata a casa da chiunque. La questua è, in un certo senso un atto penitenziale e in quanto tale è rito sacrificale a cui partecipa tutto il paese, tanto chi chiede quanto chi dà.
Se chiediamo ai ragazzi ragione di quanto preparano con tanto impegno forse molti rispondono semplicemente che lo fanno perché così si è sempre fatto.
In realtà questo rito, che mescola devozione cristiana ad antiche tradizioni pagane, è documentato fin dalla metà del XIX secolo, ma le sue origini sono sicuramente più antiche.
Un’antica leggenda narra che la temperatura della terra era glaciale e poiché il fuoco era sconosciuto la sopravvivenza dell’uomo era difficile. Perciò, dopo aver discusso a lungo, i governatori dell’universo inviarono una delegazione da sant’Antonio per pregarlo di procurare il fuoco all’umanità. Sant’Antonio viveva eremita nel deserto, vincendo, giorno dopo giorno, le tentazioni del diavolo con i più svariati trucchi. Con lui c’era anche un maialino che lo seguiva dappertutto. Il vecchio santo, col suo fedele porcellino, si recò dunque all’inferno per prendere una fiammella: ma quando i diavoli videro che il visitatore era il santo, il loro peggior nemico, gli impedirono di entrare. Il maialino però si era intrufolato rapidamente, cominciando a scorrazzare e facendo danni dappertutto: dopo aver tentato di catturarlo, i diavoli pregarono il santo di scendere all’inferno per riprendersi la bestiola. E l’eremita, che non aspettava altro, scese nel regno dei dannati con il suo inseparabile bastone a forma di Tau. Durante il viaggio di risalita con il maialino fece prendere fuoco alla estremità del bastone e, giunto sulla terra, offrì il primo e tanto sospirato fuoco all’umanità infreddolita.
Per questo motivo, in onore di Sant’Antonio, gli uomini accendono ovunque dei grandi falò.
L’abbinamento, poi, del Santo al maiale trova ragione nella concomitanza della festività con il periodo della macellazione, ma pure nella circostanza che anticamente i frati Antoniani allevavano a spese della comunità un maiale dal quale ricavavano carne per i poveri e grasso per curare la malattia detta “fuoco di sant’Antonio”.
In realtà l’accensione dei fuochi non ha molti rapporti con la vita del santo. La leggenda offre una valida motivazione ai falò che, in realtà, ripongono il rito pagano dedicato al dio fecondatore: un rito accettato dalla Chiesa cristiana tanto che, da diverse parti, il sacerdote compie tre giri attorno al fuoco benedicendolo con l’incenso. Chi era, invece, sant’Antonio? Leggiamo uno stralcio della sua vita raccontata dal vescovo Sant’Atanasio
Dalla « Vita di Sant’Antonio » scritta da sant’Atanasio, vescovo
(Capp. 2-4; PG 26, 842-846)
La vocazione di sant’Antonio
Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancora molto piccola, Antonio, all’età di diciotto o vent’anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com’era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli, che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.
Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: « Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli » (Mt 19,21).
Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia – possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni – perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte per la sorella.
Partecipando un’altra volta all’assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: « Non vi angustiate per il domani » (Mt 6,34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: « Chi non vuol lavorare, neppure mangi » (2Ts 3,10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri.
Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente. Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell’animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello.
Tutto questo ci fa capire che, per essere santi, non bisogna per forza essere vescovi, preti o religiosi: no, tutti siamo chiamati ad essere santi! La santità è qualcosa di più grande, di più profondo che ci dona Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova.
Maria Antonietta Santorsola