... quale futuro?
Proponiamo questo vecchio articolo apparso su "il Seminario" quasi venti anni fa (Anno V, n. 3, 2001), perché lo riteniamo ancora di attualità. Si tenga presente che all'epoca non esistevano ancora diverse associazioni che sono nate in tempi successivi né erano state prese tante loro iniziative.
Una domanda sempre attuale
Da diversi anni il nostro paese sembra soffrire di una crisi irreversibile. Una continua riduzione della ...
... popolazione e una preoccupante riduzione di entusiasmo e di vitalità (caratteristiche distintive dei “pezzenti allegri” di limongelliana memoria), ne rappresentano gli indicatori più evidenti. È quella che già dalla fine degli anni ’80 appariva essere, più che altro, una crisi di “prospettive”. Man mano che la riparazione dei danni provocati dal terremoto del novembre 1980 andava a completarsi, si avvertiva che l’attenzione verso la ricostruzione (fisica) del paese aveva assorbito la maggior parte delle energie materiali e intellettuali e che il suo completamento avrebbe lasciato un vuoto non facilmente colmabile.
Tale crisi, pur comune a quasi tutti i paesi della zona, appare per il nostro paese più grave perché stentano ad emergere vie d’uscita che invece gli altri sembrano aver individuato o tentato di imboccare.
Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, non poche sono state le iniziative intraprese da vari soggetti operanti nel paese e ad essi va riconosciuto il merito di essersi prodigati per rivitalizzare la nostra comunità. Non credo sia la sede per discutere la validità delle iniziative (e comunque non intendo farlo qui e ora) ma certamente si può rilevare che i risultati prodotti devono ritenersi piuttosto deludenti.
Significativi, in proposito, sono sembrati sia l’intervento del dott. Angelo Giorgio (sulla scarsa attenzione della cittadinanza all’operato dell’Associazione “Vincenzo Scalzullo”, rappresentata con una efficace metafora “meteorologica”) che quello del giovane Pietro Quaglietta (sugli episodi di vandalismo ai danni di strutture pubbliche più propriamente utilizzabili per un turismo al quale siamo ancora disattenti), riportati sulle pagine del “Seminario”.
Effettivamente il paese continua a sopravvivere in uno stato di torpore e, pur vivacizzato da varie attività, sembra offrire di sé un immagine insolita e per alcuni versi preoccupante. Si tratta, certamente, anche di una sorta di crisi di “identità”. Il punto di svolta è stato certamente il terremoto, ma anche l’evoluzione del contesto ha influito sul cambiamento (caduta del muro di Berlino, crisi di valori, tangentopoli e conseguenti cambiamenti politici, globalizzazione, ecc.).
Sembra il caso, quindi, di domandarsi cosa fare e, pur non intendendo assolutamente proporre soluzioni, credo doveroso intervenire per offrire qualche spunto per una riflessione (spero approfondita) sui problemi del paese e su una metodologia di intervento.
Certamente il problema è di tipo culturale, anzi ritengo sia la “cultura” che, essendo il complesso di elementi (non solo materiali) che caratterizzano l’identità di una comunità, può e deve essere il motore del suo sviluppo mentre, invece, è stata da noi per troppo tempo trascurata o, peggio, ignorata.
In effetti è un problema comune a tutte le realtà locali ed in particolare a quelle meridionali: sotto la spinta dei processi di modernizzazione e di globalizzazione la cultura di massa (e del consumo) ha relegato le culture locali in ruoli marginali riducendole, nel migliore dei casi, a meri fenomeni di folclore e di curiosità che vanno consumati (appunto) come uno qualunque dei suoi prodotti.
Carmina non dant panem dirà (come gli antichi Romani) qualche benpensante. Ma, a parte il fatto che oggigiorno alcune caratteristiche culturali ed ambientali possono essere offerte a scopi turistici e quindi “danno pane”, ciò che manca è una spinta ad agire con razionalità e coerenza tentando di ritrovare e rafforzare la propria identità.
Ed è pertanto alla “cultura” che credo occorra rivolgersi, soprattutto in momenti di crisi, per ricercare una soluzione, una direzione, un senso per il proprio futuro. Ma non la cultura per la popolazione bensì la cultura della popolazione.
Innanzitutto bisognerà riacquistare una maggiore stima di sé: in questi momenti di trasformazione profonda dell’intera società, che a volte appare addirittura schizofrenica, ritrovare la coscienza del proprio valore e delle proprie capacità diventa importantissimo. Forse ciò, in fondo, è più facile per una piccola comunità a patto però che sappia resistere ai modelli impostigli dall’esterno o quantomeno adattarli alle proprie specificità. Queste andranno anzi rivalutate e poste alla base del suo rilancio, non per farne pretesto di isolamento o di sterile campanilismo ma per individuare punti di riferimento e di radicamento per un’azione decisa e convinta.
Occorre pertanto promuovere un’analisi attenta e puntuale delle nostre peculiarità e delle nostre potenzialità; ricercare e riaffermare la nostra identità; individuare e valorizzare ciò che ci caratterizza e ci arricchisce ossia tutto quello che costituisce il nostro “patrimonio”. Ovviamente non solo quello fisico (ambiente, paesaggio, ecc.) ed edificato ma anche tutto ciò che ci è stato tramandato: il dialetto, il folclore, le tradizioni, l’artigianato, i mestieri, ecc.
Nonostante gli errori e le ferite infertegli, esso non è di poco conto: è importante apprezzarne il giusto valore e, se possibile, riparare ai danni arrecatigli o, almeno, non continuare a dilapidarlo.
Occorre rendersi conto che gli edifici storici, le chiese, i campanili, i ruderi (e forse ogni singola pietra) hanno un grande valore intrinseco, ma ancora di più convincersi tutti che per una comunità essi hanno un valore simbolico ancora maggiore.
In proposito vorrei aprire una breve parentesi: ritengo doveroso occuparsi con urgenza dei ruderi dei mulini e del Convento ma prima di “toccarli” discutere sul loro valore e sulla loro importanza e individuare solo dopo una accorta discussione un “eventuale” intervento.
Ma a parte i monumenti, come dicevo, occorrerà riscoprire e rivalutare tutto il nostro patrimonio (dialetto, tradizioni, ecc.): esso costituisce il nostro strumento di riconoscimento, un mezzo per conservare la nostra identità culturale. Bisogna esserne orgogliosi e concorrere tutti a salvaguardarlo, non per rincorrere nostalgicamente il nostro passato ma per fermare l’opera di distruzione e di cancellazione di quanto ha costruito chi ci ha preceduto e perché solo sulle sue basi potremo costruire un futuro migliore. Il nostro patrimonio è quello che è non perché lo abbiamo voluto noi ma i nostri antenati, ai quali dobbiamo rispetto e riconoscenza. Senza illusioni, dunque, e facendo i conti con la realtà, ma coscienti che nel nostro patrimonio possiamo ritrovare concrete potenzialità.
Si può ipotizzare, pertanto, la realizzazione di un “inventario” del patrimonio con la partecipazione delle scuole e comunque con il coinvolgimento dei giovani. Esso dovrà essere condiviso da tutti e dovrà costituire la base non solo per gli interventi di carattere generale (PRG, ecc.) ma anche per le azioni dei singoli che abbiano riflessi sulla vita collettiva.
Una volta convinti dei valori del nostro patrimonio potremo discutere le modalità e i percorsi di uno sviluppo concreto e “sostenibile”.
Tra i campi di attività su cui puntare, giusto come esempio, si possono indicare una serie di iniziative (che quasi sempre si intersecano ed interagiscono) nei seguenti settori.
Arte e storia
Realizzazione di un piccolo museo, innanzitutto per rendere “visibile” una parte del patrimonio di cui si è detto, ma anche per scopi turistici e di sostegno all’artigianato. Recupero dei ruderi dei mulini e creazione di un percorso turistico (“La via dell’acqua”?) da offrire eventualmente su prenotazione o in periodi limitati.
Artigianato
Se possibile, e per quanto realisticamente possibile, rilancio dell’artigianato artistico mediante mostre permanenti (museo) e temporanee, collegandole agli eventi tradizionali (estate culturale, fiere, ecc.). Tuttavia non si potranno trascurare le nuove attività produttive che sono fonte di reddito per numerose famiglie ed esprimono i pochi segnali di vitalità che si possono notare nel paese.
Attività culturali
A parte la tradizionale “Estate ricreativa e culturale” che merita un discorso a parte, si dovrebbe sostenere con maggiore convinzione ogni attività che si svolge in paese (attività dell’Associazione “V. Scalzullo”, spettacoli organizzati da gruppi locali e dalle scuole) magari con una pubblicizzazione più incisiva. In proposito si dovrebbero riallacciare rapporti più stretti con enti e operatori della zona (Parco Letterario “De Sanctis”) per rientrare in un circuito più ampio e (in epoca di globalizzazione) individuare partner anche distanti ma operanti negli stessi settori. E ancora: riprendere, in collaborazione con le Scuole, le iniziative della compianta prof.ssa Gerardina Zampella (pubblicazioni relative a personaggi e avvenimenti); ampliare il dizionario dei termini del dialetto santandreano; sostenere ogni iniziativa di pubblicazione di tipo storico–culturale locale; potenziare la biblioteca comunale; creare un archivio (documenti, fotografie, filmati).
Turismo
Certamente non potrà considerarsi come attività prevalente ma ormai è significativa anche nel nostro paese. Fosse solo il turismo “di ritorno” dei nostri emigranti e magari di loro amici (come già avviene). Obiettivo su cui puntare potrebbe essere, in una prima fase, il prolungamento delle loro ferie, anche solo di pochi giorni. A sostegno del turismo si possono ipotizzare attività di promozione, magari con il concorso degli stessi emigranti, e di potenziamento delle manifestazioni e delle feste tradizionali nonché quello delle strutture ricettive.
In effetti c’è tanto da fare ma non si può più aspettare che altri vengano a risolvere i nostri problemi. Non si può più continuare a sopravvivere in questo stato di torpore e di apatia; né delegare l’iniziativa sempre e soltanto alle autorità e agli enti preposti (le sponsorizzazioni sono proprio impossibili?).
Tutti dovranno concorrere con convinzione alla crescita del paese, rispettandone l’identità ed il suo patrimonio, sviluppando idee ma valutando attentamente ogni singola iniziativa, senza rincorrere l’impossibile e muovendosi sinergicamente, con spirito collaborativo e con atteggiamento costruttivo, consci che il progresso di una comunità è un bene per tutti ma è vero progresso soprattutto se si fonda sulla propria “cultura”.
R. C.
Certo sono considerazioni per certi aspetti superate, specialmente dopo la sopraggiunta pandemia da "coronavirus", ma comunque riteniamo forniscano spunti di riflessione che si possono riprendere ed approfondire.