SIMBOLO E PILASTRO DELLA NOUVELLE VAGUE
di Massimo Mirra
L'angolo del cinema (curato da Massimo Mirra)
È morto, alla veneranda età di novantuno anni Jean - Luc Godard, a mio modo di vedere, tra i cinque più ...
... grandi cineasti di ogni tempo e ovviamente l'ultimo dei grandissimi, di concerto con Martin Scorsese e forse Clint Eastwood. l'unico capace di riformare, ammodernare, rinnovare e svecchiare tanto la forma quanto i variegati contenuti della settima arte o decima musa.
Radicale nelle scelte contenutistiche, destabilizzante nelle ragioni politiche e sociali (con il suo cinema profondamente politico, ma senza aver mai prodotto, creato o fatto film che potessero parlare anche solo larvatamente di politica, forse con qualche consapevole eccezione da parte dell'autore stesso), innovatore nel linguaggio cinematografico con la rottura sistematica di quasi tutte le regole basilari ed imprescindibili del linguaggio cosiddetto classico, ossia quel linguaggio interamente imperniato sul principio di illusione di realtà: l'eliminazione dell'atavico ed obsoleto tabù del cosiddetto sguardo in macchina, capace di stabilire una sorta di comunicazione diretta ed immediata tra film e spettatore; l'uso quasi sistematico del jump cut, della macchina a mano, dei falsi raccordi e del montaggio serrato, intricato, caotico e disarticolato; l'utilizzo, a mo' di sostegno e di pratica, di quel processo di scrittura inerente alla cosiddetta sceneggiatura - canovaccio o appena abbozzata, rispetto alla tipica e conclamata sceneggiatura di ferro del cinema classico; la pratica di un non eccessivo rispetto della regola forse meno violata del cinema e nel cinema, cioè lo scavalcamento di campo, ossia la regola dei 180° (campo/controcampo); l'utilizzo della ripresa in continuità spazio - temporale (long take o piano - sequenza), capace di rendere ed esplicitare quella sorta di ambiguità del reale di baziniana memoria.
Godard amava tanto Roberto Rossellini quanto Jean Renoir, considerandoli, entrambi, suoi mentori e forse solo il sommo e rapido Rossellini e l'umanista e profondo Renoir furono allora e sono a tutt'oggi più grandi di lui.
Ovviamente mi riferisco al cinema della modernità e non vorrei, a tal uopo, dimenticare cineasti immensi - nella ormai classica scansione periodica, di Noël Burch, inerente al cinema primitivo, classico e moderno - come: Murnau, Ejzenstejn, Griffith, Antonioni, Ozu, Kurosawa, Kubrick, Fellini, Visconti, Ford, Welles, Hitchcock, Hawks, Mann, Ray, Bergman, Bunuel, Fassbinder, Scorsese, Sirk, Kazan e Rosi, sparando nel mucchio di un caleidoscopio, multiforme e mutevole, ripercorso nell'alveo temporale di un'arte, però, senza tempo.
Pensavo che Godard fosse immortale persino nel fisico e non solo nell'anima, ma così non è stato, anche se è diventata immortale e senza tempo la sua incommensurabile e poliedrica arte, con i suoi immani capolavori come: "Fino all'ultimo respiro", "Questa è la mia vita", "Il disprezzo", "La cinese", "Il bandito delle 11" e tanti altri capolavori. Godard voleva cambiare il mondo con il cinema, ma il cinema ha cambiato soprattutto lui, trasformandolo nel più grande artista del Novecento e uno dei più grandi d'ogni tempo. A dimostrazione di ciò, se ve ne fosse ancora bisogno, possiamo asserire con assoluta fermezza e convinzione che chiunque ami il cinema deve avere amato indissolubilmente Godard. A tal uopo il grande ed impertinente regista Michel Hazanavicius seppe, giustamente e grandemente, omaggiarlo - più come artista che come uomo - qualche anno addietro, con uno splendido biopic a mo' di film pamphlet "Il mio Godard", imperniato sulla figura della sua poliedrica, rivoluzionaria, sperimentale e geniale personalità artistica rappresa sia nella sua filmografia omnia, sia nella sua opera di scrittura a tutto tondo - che per lui già significava fare cinema, nel solo viverlo - dal sapore molto colto, ma anche molto contestata da buona parte di quel mondo cinematografico che spesso lo ossequiava fintamente perché era molto difficile poterlo contestare autenticamente e perspicuamente...
MORTO GODARD NON MUORE IL CINEMA, MA LA CRITICA CINEMATOGRAFICA
di Massimo Mirra
Un'altra riflessione del nostro amico critico cinematografico
In questi due ultimi giorni, preceduti dalla triste notizie della dipartita di Jean - Luc Godard, pochissimi esperti del settore e critici cinematografici si sono espressi sulla morte del grande Maestro e persino sulla sua lapalissiana grandezza a tutto tondo.
Oggi ho avuto la dimostrazione de facto e dal sapore anapodittico che a morire non sia proprio il cinema in sé, come ebbe a dire in illo tempore, sbagliando, lo stesso Godard, ma piuttosto la critica cinematografica, quella ovviamente dal temperamento fasullo e più retriva ed ostica al cambiamento.
Solo l'eccellente e puntuale trasmissione radiofonica Hollywood Party ne ha parlato, con spedita immediatezza, di concerto con il critico Paolo Mereghetti. Non a caso Mereghetti, assurto spesso nel Gotha o nel Pantheon dei grandi critici cinematografici, resta uno studioso di grande livello e di prima grandezza nel panorama cinematografico italiano ed internazionale.
Se non si parla, anche solo scrivendone, o si scrive, anche solo parlandone, su Godard, a prescindere dal fatto che lo si possa amare o meno, è come se, noi grandi appassionati della settima arte, negassimo la stessa esistenza del cinema e a soccombere od avere la peggio, in un futuro immediato prossimo, sarà, ovviamente, l'ormai presunta critica cinematografica.
Aprà, Aristarco, Chiarini, Kezich, Bianchi, Fink, Verdone, Bazin, Daney, Tailleur e tanti altri non avrebbero giammai esitato a parlare di o scrivere su Godard, né rinunciato a raggiungere un momento di particolare notorietà o di gloria, nel loro solo elogiarlo. Vi è un momento per tacere, un momento per parlare e un momento per scrivere. Chi tace su Godard rinuncerà a parlarne oggi, scrivendone inutilmente domani.
Non me ne vogliate critici del nulla - riferendomi a quei critici retrivi e forse negletti, pronti ad esibire un profluvio di parole arzigogolate sul sesso degli angeli, ma non sul senso e sulla vera essenza di ciò che l'arte cinematografica rivela, creando, attraverso l'articolata fantasia dei suoi incommensurabili autori, come appunto Godard - ma abbiate almeno il coraggio e il pudore di tacere per sempre, parlando e scrivendo semmai di ippica, ma non di cinema.
Se per puro caso Godard avesse anche solo compreso, anzitempo, il senso dell'inutilità di questo tignoso mondo di parole che ci sovrasta sempiterno, nulla ci vieta di pensare, in questo preciso momento, che lo stesso geniale cineasta, nonché autore a tutto tondo, abbia preferito, legittimamente, la morte alla vita, avendone, a questo punto, pienamente ragione.
Vorrei tanto, a tal proposito e a dimostrazione di quanto sostenuto, farvi leggere, ma non lo farò, alcuni - ovviamente con le dovute e ragguardevoli differenze - esili necrologi scritti, in occasione della sua triste dipartita, anche da alcuni autorevoli critici o esperti del settore, su alcune testate giornalistiche di carattere nazionale.
Tanta e tale è la loro considerazione su Godard, che nel solo leggere i loro sparuti, talvolta infamanti ed infingardi articoli se ne perde, a breve, addirittura la traccia del benché minimo pensiero in riferimento a quel senso ambiguo e contorto che si vorrebbe attribuire al geniale Godard, confondendolo, però, con Ninì Grassia, con tutto il rispetto che pur si deve ad un modesto artigiano del cinema...