... Martone: Eduardo Scarpetta, tra vita e palcoscenico
Onorati dalla preferenza concessa a questo sito, volentieri pubblichiamo la recensione di Massimo Mirra al film di Mario Martone "Qui rido io", recentemente presentato alla Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Lo stupendo film di Mario Martone si muove tra l'atipico biopic - nella sua rievocazione storico culturale, della Napoli agli inizi del '900, inerente alla immensa figura, intrisa di pura genialità, di Eduardo Scarpetta - e la ...
... primigenia finzione scenica dei tanti protagonisti memori, di una gustosa rievocazione della Belle Époque napoletana dove la materia di impronta teatrale viene rappresentata in termini per niente oleografici, e consapevoli di aver reso grande il nuovo teatro popolare napoletano. Il film è e costituisce in realtà un incommensurabile capolavoro filmico, capace di oltrepassare gli ormai ossidati e atavici generi, all'interno dei quali lo si cerca, da parte di qualche sprovveduto, o lo si vorrebbe cercare, artificiosamente e artatamente, di racchiudere o, addirittura, confinare.
Più che di una trilogia della rediviva napoletanità si potrebbe parlare, a mio modo di vedere, di una sorta di pentalogia della rediviva napoletanità - con "Noi credevamo", "Il giovane favoloso", "Capri - Revolution", "Il sindaco del rione Sanità" e, dulcis in fundo "Qui rido io“- sotto l'egida di una forma d'arte dal sapore numinoso e racchiusa nell'aura di un polittico alla ricerca di un primigenio sentimento di carattere nazionale. I cinque film, compresi all'interno di questo polittico, evidenziano e tratteggiano sicuramente un richiamo o rimando storico di impronta nazionale, nonché risorgimentale in lato sensu, ma non abdicano giammai a quella identità meridionale dal sapore piuttosto partenopeo, peraltro vieppiù anelata dall'autore, oserei dire con grande creatività mista ad una fulgida dose di immaginazione intrisa di arte pura. Insomma con questo abbrivo, gli ultimi cinque film di Martone, molti dei quali interpretati grandemente e sublimemente da Tony Servillo, costituiscono un corpus omogeneo nella ricca e variegata filmografia martoniana.
Il nuovo film di Martone nel raccontare, ricostruire e rievocare la storia della dinastia degli Scarpetta, in primis del patriarca della grande famiglia nella sua più assoluta ed inesauribile fonte di genialità: EDUARDO (drammaturgo, capocomico ed interprete) ed in seconda istanza delle sue innumerevoli amanti, delle dolenti mogli e dei suoi tanti figli legittimi (Vincenzo e Domenico, sparando nel mucchio) ed illegittimi, come i tre fratelli De Filippo (Eduardo, Peppino e Titina) assurti al rango degli onori come i veri e unici continuatori della grande ed innovata tradizione del teatro popolare; dicevo appunto tenta, riuscendoci oserei dire a menadito, di tratteggiare, sapientemente, gli aspetti salienti e caratteristici di quella Napoli, nel pieno della Belle Époque, insignita a vessillifero della rinascita di quel atrofico e spento dibattito intellettuale europeo e divenuta la città simbolo del risorgimento culturale del redivivo Regno d'Italia. Basterebbe, per rendersene conto ed essere edotti, guardare e visionare la breve inserzione inerente al materiale di repertorio posto in esergo alla scena iniziale del film, laddove si evidenzia, ancorché in pochi frames di pellicola, una perfetta ricostruzione dal basso del clima della Napoli dell'epoca, peraltro già città importante del Regno d'Italia.
Eduardo Scarpetta, nel suo ricercato e giammai manierato binomio arte - vita, tenta di spettacolarizzare ogni benché minimo aspetto o ricordo di quella vita da lui tanto esaltata e scritta con audace capacità artistica, ma in ciò sembra piuttosto scriverla - concedendosi ad un italiano spesso rabbonito, ammansito e flesso al dialetto - vivendola che viverla, scrivendola. La grande abilità di Scarpetta nel sostituire, con la maschera di Felice Sciosciammocca, il vecchio teatro di impronta popolare di Pulcinella - la maschera più nota della commedia dell'arte dell'Italia meridionale - e dei Petito - con il suo più celebre e capace interprete della sempiterna maschera teatrale di Pulcinella, come Antonio Petito - ha fatto sì che il nuovo teatro popolare ruotasse intorno a quegli elementi intrisi del più fervido rigore professionale e al cui interno potessero persistere: l'impegno assoluto, la fedeltà e devozione al testo scritto, l'assenza della benché minima forma di improvvisazione. Ma quando, ormai, Eduardo Scarpetta sembra aver raggiunto l'apogeo del successo artistico, professionale, economico e personale, sarà proprio il grande poeta Gabriele d'Annunzio, alias Rapagnetta, a sbarrargli la strada, intentantogli una causa per plagio in riferimento ad una sua parodia nei riguardi di una importante opera teatrale del Vate: "La figlia di Iorio". Che si sia trattato di plagio, di parodia e/o addirittura di contraffazione saranno i grandi intellettuali del tempo in oggetto, come Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco - l'antifascista intransigente - Libero Bovio ed altri, a testimoniarlo e renderlo noto, trascinando Scarpetta sul banco degli imputati, anche se poi sarà completamente assolto, vincendo a tal uopo la sua più temibile, forse ultima e irrefrenabile partita. Soltanto Benedetto Croce riuscirà ancora ad essergli fedele e devoto amico, pronunciandone la mitica battuta, all'insegna della risoluzione compromissoria del caso, in riferimento al concetto del ridicolo come rovescio del sublime.
In conclusione, possiamo dire con convinzione assoluta, che con "Qui rido io", Mario Martone ha dato vita all'ennesimo capolavoro, forse il suo più definito, imperniato sulla inequivocabile mescidanza linguistica, e di livelli narrativi, intrisa di variegati elementi come: l'incommensursbile interpretazione di Tony Servillo - personaggio scritto su misura per lui - nei panni del geniale Eduardo; l'encomiabile sceneggiatura del duo Martone - Di Majo; l'importante riflessione sulla famiglia teatrale a mo' di patriarcato, prima degli Scarpetta e poi dei De Filippo; la meravigliosa colonna sonora intessuta di magnifiche note musicali di impronta napoletana.
Al di là di una pur esile, sbiadita e forse sminuita considerazione in riferimento al grande Peppino De Filippo, bambino mandato a balia in tenerissima età - elemento di per sé non degno di nota - e di una non definita, nonché perspicua, risoluzione della non scabra disputa o contesa tra il nuovo teatro popolare, nei suoi aspetti apparentemente più risibili perché imperniato su risate fragorose, rappresentato dagli Scarpetta, nonché De Filippo, e il cosiddetto teatro d'arte, nei suoi aspetti più realistici ed autentici, rappresentato dai Di Giacomo e dai Bracco; Martone sembra dimostrare, a ragion veduta e in una maniera piuttosto conclamata e convincente, di essere, di concerto con Paolo Sorrentino, il più grande, nonché creativo, autore a tutto tondo che il mondo dello spettacolo odierno possa, oggi, vantare in Italia e non solo.
Massimo Mirra