Da 'il Seminario' n. 4/2021
Auguri alla centenaria nonna Filomena
Mia nonna è piccolissima. Sono piccolissimi i polsi e le dita delle mani. Lo sono le gambe, il bacino, le spalle che reggono lo scialle e i piedi che camminano nell’orto. Piccolissimo il ...
... letto in cui dorme, piccolissimi i pezzi di fetta biscottata che inzuppa nella camomilla, minuscoli i gesti: il modo di nascondere il fazzoletto nella manica, l’arricciamento del volto quando lo scricchiolio delle ginocchia impone una pausa, il tremore delle mani davanti alla morte di chi era stato bambino insieme a lei. Sono piccolissime le ossa, che a stringerla, mia nonna, che a stringerlo, un corpo che vive da un secolo, devi cambiare peso anche tu, ponderare la forza e limitare la presa.
Mia nonna era piccolissima già quando lo ero io, quando tornavo da scuola e la trovavo china in silenzio con i polpastrelli ad arricciare la pasta, quando nascondeva le banconote nelle mie tasche e mi faceva segno di andare via, di fare in fretta, che tanto nessuno ci aveva viste in quel movimento liscio e veloce delle cose da tacere. Ha sempre fatto tutto in miniatura, come se avesse studiato da sempre una maniera per ovattarsi. Scivola per casa in silenzio, con i capelli raccolti, le pantofole di lana e il grembiule umido, a palesarsi solo quando necessario, quando le sembra appropriato.
A volte andiamo ad acciuffarla, vieni qui nonna, stai con noi, e lei si siede con quel modo di tendere in avanti il petto che tutti sappiamo essere una protesta. È piccolissima la mattina del suo centesimo compleanno, l’ho trovata ancora a letto con le lenzuola di flanella calde di sonno. La stanza profuma di borotalco e caffè, la parete ricoperta dalle foto dei nipoti, riconosco me stessa di una ventina di anni fa. Nonna si è tirata su appena mi ha visto entrare. I capelli sottilissimi sembrano già spazzolati, mi sorride con la bocca ancora vuota, quella vera, senza dentiera.
La guardo, con le clavicole così affossate come se dovessero contenere qualcosa, le vene viola sotto la pelle trasparente, le ginocchia due punte abbozzate coperte dal tessuto spesso del pigiama. Mi sembra assurdo che questo accenno di corpo abbia visto passare così tanta vita. Mi domando dove la tenga nascosta, dove abbia trovato lo spazio per catalogare tutto. Se ne va in giro per la campagna con il suo bastone a studiare la maturazione dei frutti, si intestardisce quando si rende conto di non poter più camminare da una parte all’altra del paese, si massaggia i muscoli prima di andare a dormire, e lì in mezzo, da qualche parte, nascosti nella persona che vedo oggi, è riuscita a pressare cent’anni. Li ha piegati e sistemati come si fa con i vestiti pesanti dopo l’inverno, ha trovato il posto per ogni cosa, per il pianto della morte di un padre, per le vesciche sulle mani e le ferite sotto i piedi da bambina, per una guerra trascorsa in attesa, per tutte le lettere inviate a mio nonno soldato, per tutte le lettere ricevute a significare che era ancora in piedi, per un figlio perso all’età in cui i figli non dovrebbero essere persi, per la fame e la privazione, per la terra che ha tremato sotto i piedi, per tutte le semine e tutti i raccolti, per i figli che diventano prima padri e poi nonni, per la meraviglia di poter stringere per la prima volta il suo stesso sangue, novantanove anni più giovane.
Contengono tutto, questi cento anni, ma restano piccolissimi, perché piccolissima sei tu, nonna, con il tuo imbarazzo davanti agli auguri e agli abbracci, la posizione a guscio davanti alle attenzioni, con le tue mani nelle mie mani, la mattina del 1° novembre, tu un fagotto sotto il piumone, io a volerti spiegare - senza sapere come - che sei al tempo stesso la persona più piccola, immensa ed eterna che conosca.
Michela Iannella