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Vivere la città o il ...

... paese natio?

Da 'il Seminario' n. 4/2022

La maggioranza della popolazione mondiale già vive in città e la tendenza è in continua crescita. Chi di noi, almeno una volta nella sua vita, non ha sognato di trasferirsi nella città capoluogo o in una città del Nord per migliorare il proprio tenore di vita?

I flussi migratori dalla campagna alla città sono ...

... iniziati negli anni 60/70 creando nuove stratificazioni periferiche di agglomerati urbani e metropolitani. Anche dalla nostra Alta Irpinia molte famiglie si sono trasferite nelle città di Avellino, Salerno o Napoli, spinte dalla necessità di fare investimenti immobiliari e nello stesso tempo dare la possibilità ai figli di proseguire gli studi. Era l’epoca del boom economico.

Ma, oggi, la città è ancora appetibile?

Il sogno di migrare viene accarezzato soprattutto dai giovani, insoddisfatti del ritmo di vita, monotono e angosciante, del proprio paesello. La città e la campagna sono due entità costrette a convivere, ognuna rivela aspetti positivi e negativi nello stesso tempo. C’è chi ama la città e chi la odia, chi la considera un luogo dove potersi realizzare per le molteplici opportunità lavorative e chi prende le distanze per la vita frenetica e rumorosa. Altrettanto si dica per la vita di paese. L’opzione è sempre molto soggettiva, personale. Per alcuni, forse, resta solo il rimpianto.

Ciò che risalta immediatamente alla mente e seduce l’aspirante “cittadino” è la possibilità di usufruire di molti servizi: una vasta gamma di negozi, impianti sportivi, sale cinematografiche, musei, chiese antiche, parchi, luoghi di cura, manifestazioni culturali di vario genere. Ma “la città produce una sorta di permanente ambivalenza, afferma papa Francesco nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n.74), perché, mentre offre ai suoi cittadini infinite possibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo della vita di molti. Questa contraddizione provoca sofferenze laceranti”.

La città, infatti, dovrebbe offrire molte opportunità di crescita personale, investendo sui rapporti umani interpersonali ed essenziali come famiglia, scuola, centri di aggregazione, luoghi di riflessione e di condivisione, a volte però diventa un “inferno” per i più fragili. La vita frenetica e caotica, oltre ad essere causa di stress, non favorisce lo sviluppo della persona, rende anzi le persone anonime, depredandole della loro dignità. A questo proposito è significativa la testimonianza di don Stefano Cascio, parroco di Torre Spaccata, quartiere di Roma Est, apparsa sull’Osservatore Romano di sabato 11/2/23: “A Torre Spaccata abbiamo soltanto una piccola biblioteca comunale, non c’è teatro, a parte quello parrocchiale, né un cinema, ci sono tre ristoranti e pochi negozi. Durante il giorno la gente va a lavorare, si potrebbe definire un quartiere dormitorio dove regna un grande silenzio, tranne quando sparano i fuochi d’artificio che annunciano l’arrivo della droga. Quelli fanno rumore. [...] Di recente sono arrivate coppie giovani, ma ci sono parecchi anziani, vivono da soli, spesso vedovi, non si muovono dai loro appartamenti. ... Qui, durante l’Avvento, è morta una signora anziana di fame e di sete, perché il figlio, tossicodipendente, non se n’è più curato...Lì ho capito che le persone fragili si salvano solo finché sono autonome”.

È vero che siamo in periferia, è vero anche che non tutte le periferie hanno gli stessi problemi. Al giorno d’oggi queste aree spesso vengono definite periferie sociali, cioè luoghi che racchiudono situazioni di forte disuguaglianza e degrado.

Del resto non è molto diversa la situazione del centro città, che coincide quasi sempre con il centro storico, per ragioni indotte da dinamiche inerenti alla demografia, ai rapporti sociali ed economici. Molte città e metropoli sono diventate invivibili dal punto di vista della salute a causa della congestione del traffico e dello smog, dell’inquinamento visivo e acustico, dell’aumento della violenza, del narcotraffico e del crescente consumo di droghe fra i giovani, di varie forme di corruzione e di criminalità.

Può sembrare, invece, una banalità, eppure respirare aria pulita è uno dei principali vantaggi del vivere nel paese di origine. Per molti può fare la differenza in termini di salute fisica e mentale. Altri benefici da non sottovalutare sono: la tranquillità, la bellezza del paesaggio, la presenza di alimenti freschi e genuini, costo inferiore della vita, maggiore solidarietà, contatto quotidiano con la natura, tanto invidiato da coloro rimasti bloccati negli appartamenti cittadini durante il lockdown. Al contrario un paese piccolo offre meno servizi e divertimenti. A questo punto, valutando i pro e i contro della città e del paese, viene spontanea la seconda domanda: dove è conveniente vivere?

Don Donato


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