Ancora neve ...

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In ricordo di Mario Martino

Il ricordo dei miei eterni: MARIO Martino.

Vogliamo ricordare anche noi il prof. Mario Martino e crediamo di non poterlo fare meglio che riportando quanto ha scritto il suo amico Gerardo Vespucci su FB in occasione del memorial in suo onore che si terrà all'Episcopio il 14 agosto 2024.

Fb mi ricorda che oggi, tre anni fa, smetteva di battere il cuore generoso del ...

... prof Mario Martino, noto semplicemente come il "professore": lui che il professore lo ha svolto per davvero per oltre trent'anni, si era guadagnato il nomignolo da ragazzo e per altri meriti.

Eppure, già in quell'attributo scherzoso c'era il riconoscimento di qualità superiori: creatività, ironia e logica rigorosa. Il manifesto funebre annuncia la scomparsa con un esergo che da solo riassume tutta la personalità di Mario, di cui sono stato amico vero dal 1970: "Siamo una manciata di polvere".

Così avrà voluto che si scrivesse, con tono assertivo, quasi didascalico: peccato che nessuno dei suoi estimatori dell'ultima ora lo abbia sottolineato.

In questa frase, che richiama il titolo di un romanzo del 1934 di un autore inglese che a sua volta si rifà ad un verso di T.S. Eliot, c'è il vero Mario: accanito lettore, nonostante la sua difficoltà visiva (grazie alla cugina Maria che gli registrava i testi!), pensatore profondo e critico, un instancabile organizzatore, un vero intellettuale, mai chiuso nei suoi piccoli interessi come in una torre d'avorio.

Alla Gramsci, in pratica; convinto che il sapere dovesse aprire le coscienze e liberare soprattutto i più deboli e gli indifesi. E per questo si è speso, nella sua non breve vita: a scuola con gli alunni, poi con il teatro dedicato ai tanti giovani di Sant'Andrea, dal 1985 in poi.

Ed in questo suo impegno c'era la convinzione marxiana che il mondo non va solo interpretato ma anche cambiato.

Ed allora come si spiega l'esergo che sembra una resa alla vanitas delle cose?

Ce lo spiega Mario con la sua vita reale.

Egli era partecipe di un gruppo di giovani che sul finire degli anni '60 aveva compreso lo spirito dei tempi che spirava in Occidente: il '68, il protagonismo giovanile; le lotte di liberazione dei popoli e di emancipazione delle donne.

Ed aveva scoperto il gusto dell'impegno politico, dalla parte della povera gente, per la giustizia sociale, contro i privilegi in generale ed il potere della DC in particolare.

A Sant'Andrea questo gruppo, molto ampio e differenziato al proprio interno, determinò la vittoria al Comune della sinistra nel 1970, dopo oltre un ventennio democristiano.

Grazie a questo risultato, la politica uscì dalle secche di una semplice e normale amministrazione per aprirsi a discussioni inedite e a confronti prima ideali, poi ideologici.

Per dirne una: in questo clima nacque la volontà di acquistare l'Episcopio dalla Curia da parte del Comune (sindaco Pasquale Lamanna!).

Io conoscevo Mario perché aveva organizzato il nostro gruppo musicale, ma la differenza di età (io 15 enne, lui 25 enne) non mi consentì di cogliere tutti gli aspetti della vicenda politica che lo vedevano già protagonista, sebbene mio fratello fosse stato eletto nel 1970 addirittura consigliere comunale.

Ma già nelle elezioni politiche del 1972 ebbi modo di ascoltare Manlio Rossi Doria (PSI) in un incontro con i giovani di Sant'Andrea, nel salone retrostante del bar di Riccardo ( oggi forno Andreone).

Ebbene, fu proprio Mario a vanificare il tentativo di Rossi Doria di convincerci a votare PSI dicendo: non servono più le falci, ci vogliono i falcioni!

Traduzione: ci vuole il PCI: ed il PCI ebbe in quelle elezioni ben 474 voti (37,74%) con un balzo di circa 90 voti dal 1968, purtroppo a scapito del PSI!

Io che ero della FGCI ne fui ovviamente contento e la politica, che già mi appassionava, divenne sempre più l'interesse principale della mia vita: l'incontro con Mario era inevitabile!

Ci incontravamo spesso e parlavamo di tutto, ma soprattutto di letteratura, filosofia e politica: col passare del tempo tra me e Mario nacque un sincero legame di amicizia e di affetto.

E quando il 29 dicembre 1973 morì mio padre, venne a casa e, sebbene avesse già difficoltà nella vista, chiese una sedia e volle restarmi accanto per ore, piangendo come fosse un intimo di famiglia.

E quando nel febbraio 1974 compii gli anni mi fece giungere una lettera di auguri piena di ideali e di saggezza che ancora conservo, 50 anni dopo.

Il nostro era un dialogo davvero profondo con cui confrontarsi sui libri letti e da leggere, sempre ispirati allo studio della struttura reale della società, grazie al marxismo, ed alla capacità di cambiare la realtà, appassionati anche del dialogo tra credenti e non credenti: a Sant'Andrea, nonostante tutto, la gran parte cattolica votava ancora DC!

E così parlavamo del Principio Speranza di Ernst Bloch oppure di Marxismo e Cristianesimo di Giulio Girardi.

Grazie a mio fratello che li comprava, io potevo dare i libri in lettura a Mario e lui ricambiava.

Poi nel 1975 mi regalò un libro che voleva io leggessi perché gli aveva creato un forte dissidio interiore: L'alternativa, cambiare il mondo e la vita, di Roger Garaudy.

Questo filosofo francese, marxista, aveva cambiato opinione rispetto alla Unione Sovietica e come esergo aveva scritto: tacere non è più possibile.

Ovviamente i crimini di Stalin erano noti dal 1956, ma le giustificazioni del comunismo russo che ancora restavano, a suo dire, erano incompatibili con il socialismo dal volto umano.

Mario ne fu folgorato e si avvicinò al PSI, sebbene nella versione di sinistra, quella di De Martino, Giolitti e Lombardi.

A Sant'Andrea la sinistra (PCI - PSI) era unita e la sua scelta non provocò nessun cambiamento sostanziale: noi restammo amici e soprattutto interessati a cambiare in meglio la realtà, a partire da Sant'Andrea.

Poi Mario si laureò e andò via, al nord per insegnare.

Riuscì a tornare prima del terremoto e di nuovo ci incontrammo.

Il dopo terremoto ci vide all'opposizione e lui ormai iscritto al PSI partecipò a tutti i momenti più significativi che le due sezioni organizzavano in quegli anni.

Fino a giungere alle elezioni del 1985 che videro di nuovo la vittoria della sinistra al Comune. Per la campagna elettorale producemmo un programma elettorale pubblicato in un libretto: il paragrafo relativo alla cultura ed all'Episcopio fu scritto da me e da lui: se si andassero a leggere quelle proposte si scoprirebbe che sono ancora di una attualità sconcertante.

Nel quinquennio 1985-90 Mario diede vita alla Compagnia teatrale Teatro Novo e da quel momento ha messo in scena decine di opere, molte originali, sue.

Nel 1990 la DC riprese il Comune e il nostro lavoro politico subì un ovvio arresto fino al ritorno al governo nel 1995 con l'inedito accordo tra noi del PDS (parte del PSI, con Mario e i proff. Donato Russoniello e Michele Giorgio) e il PPI di Iannicelli: io, con sua somma gioia, fui nominato vicesindaco.

Quando nel 1998 mise in scena una commedia in dialetto santandreano, volle a tutti i costi che fossi io ad accompagnarlo e a presentare lo spettacolo.

Poi ci furono le elezioni del 1999 e alcuni strateghi della politica portarono la sinistra a correre da sola, quasi in opposizione alla amministrazione uscente.

Mario mi telefonò e con grande rammarico mi disse: "caro Gerardo, mi dispiace, tu non sei candidato ed allora voglio che tu sappia che io vado per la mia strada e sostengo Michele Miele".

Fu così che si impegnò per far eleggere Michele, suo amico e collega all'istituto Maffucci di Calitri: la lista di Michele stravinse e Michele fu tra gli eletti.

Ma non mi aveva dimenticato: Mario per l'intero 2000 si spese perché Michele imponesse il mio nome come Presidente della Commissione cultura.

Purtroppo non riuscì nell'intento (ricordo la passione che metteva per convincere) e così credo si arrese, 30 anni dopo, alla fine di una grande illusione: la politica come arte del cambiamento.

E da allora si dedicò fino in fondo alla scuola dove diede vita al laboratorio teatrale scolastico oltre a mantenere vivo il suo gruppo teatrale, scrivendo e mettendo in scena applauditi spettacoli.

In qualche modo anche il nostro scambio culturale ne risentì, sebbene di tanto in tanto mi telefonasse per uno scambio di opinioni, magari per problemi della sua scuola.

Il fato si incaricò di regalarci una ulteriore occasione di incontro: nel 2007, io divenni DS del Maffucci di Calitri e lui era un mio insegnante.

Quando a settembre presentai al Collegio la mia visione di scuola, usai delle coppie dicotomiche tipiche dell'autonomia scolastica; molti fraintesero e parlarono di contraddizioni. Prese la parola Mario e col suo tono deciso e il suo eloquio mai banale disse che le coppie erano tipiche di un pensiero dialettico di cui la mia visione globale costituiva la sintesi generale. Ovviamente aveva colto nel segno e lo ringraziai.

Toccò a me accompagnarlo in pensione, ma quando venne a dirmelo quasi si vergognò perché mi abbandonava appena arrivato.

Lo rassicurai dicendogli che nelle sue condizioni aveva dato già tanto.

Da allora, anche a causa del mio lavoro, ci siamo trovati raramente, per strada oppure a teatro quando metteva in scena qualcosa.

Di tanto in tanto mi telefonava per due chiacchiere e parlare di problemi della società e dell'attualità: quando scrissi la recensione della "sua" riduzione in vernacolo di Filumena Marturano sul Seminario, mi telefonò con le lacrime agli occhi.

Insomma, ci siamo voluti davvero bene.

Si dirà che Mario era tante altre cose, che le sue azioni ludiche sapevano anche di goliardia.

Certamente, ma erano le necessarie pause di un uomo impegnato e non il contrario.

Del resto, è ultranoto che dietro tante sfilate di Carnevale c'era lui; che amava il Carnevale come grande momento catartico in cui per poche ore si rovescia la realtà (e il suo tra/vestirsi da donna era esemplare) ma quell'esergo da cui abbiamo preso le mosse ci dice che era ultra consapevole che dopo il martedì grasso c'è il mercoledì delle ceneri, da cui veniamo e verso cui andiamo.

La vita, però, è ciò che facciamo in questi due passaggi e Mario ci ha voluto ricordare che per dilatare tale spazio ha applicato alle sue idee, le sue passioni e le sue azioni ogni attimo rendendolo di imperitura memoria.

Ciao Mario.

Gerardo Vespucci


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